Onorevoli Colleghi! - Dopo circa trent'anni e dopo numerosissime lotte e pressioni, finalmente il Parlamento ha deliberato, nel corso del 1999, la modifica della legge n. 482 del 1968, approvando la legge 12 marzo 1999, n. 68.
Nel fare ciò il legislatore ha finalmente recepito quanto fu oggetto di innumerevoli trattative effettuate dall'Associazione nazionale mutilati e invalidi civili (ANMIC), che per sette giorni, con numerosissimi suoi rappresentanti, effettuò lo sciopero della fame davanti a Montecitorio tra la fine del febbraio e l'inizio del marzo 1968. Quanto non fu possibile ottenere allora, e cioè che le commissioni mediche valutassero il grado dell'invalidità non già in senso oggettivo, in rapporto a tabelle predisposte, bensì in senso soggettivo, con la valutazione della residua capacità lavorativa in rapporto alle capacità attitudinali del soggetto, è stato finalmente ottenuto con la legge n. 68 del 1999.
È convizione del proponente che non esista invalido che non possa svolgere almeno un lavoro in maniera ottimale e garantendo il 100 per cento delle prestazioni richieste dall'attività.
Finalmente questo concetto è stato recepito dalla legge n. 68 del 1999, nella quale si è cominciato chiaramente a parlare di collocamento mirato e si è stabilita una serie di misure tendenti a realizzare la ricerca delle residue capacità lavorative in funzione delle capacità attitudinali e quindi la ricerca del giusto posto di lavoro per dare all'invalido la possibilità di «annullare» la sua invalidità. Tale politica ha trovato ulteriore attuazione nel corso dell'anno 2000, con l'emanazione dell'atto di indirizzo e coordinamento in materia di collocamento obbligatorio dei disabili, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 gennaio 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 43 del 22 febbraio 2000, che ha previsto che l'accertamento delle condizioni che danno diritto
a) ai datori di lavoro, non soggetti agli obblighi della legge, che assumono dei disabili;
b) ai datori di lavoro, soggetti agli obblighi della legge, che procedono all'assunzione di invalidi oltre la quota prevista.
Nel nuovo comma 2-bis del medesimo articolo 13 si prevede che ai datori di lavoro che assumono un numero di invalidi superiore al 50 per cento del totale dei dipendenti sono concessi una serie di benefìci che avvantaggeranno le aziende e le metteranno in condizione di essere esse stesse interessate alla ricerca del posto in rapporto al tipo di invalidità del disabile, al fine di poter godere di tali benefìci. Si ritiene, infatti, che quello che potrebbe sembrare un costo notevole verrebbe ampiamente compensato dalla eliminazione di tutti quegli interventi sul piano sociale (assegno vitalizio ed altri interventi) di cui usufruirebbe l'invalido non occupato, dai costi sicuramente più onerosi della fiscalizzazione dei contributi previdenziali e assistenziali e dell'abbattimento dell'imposta sul valore aggiunto.
Il Parlamento non può esimersi dal valutare questa richiesta di modifiche e deve far sì che esse siano approvate nell'interesse del soggetto disabile e comunque dell'economia del Paese.